La spiritualità, di qualsiasi tipo, sembra proprio che faccia bene al cervello. Aumentano le connessioni cerebrali e si riduce il rischio di depressione: lo dicono gli esperti della Columbia university.
Succede qualcosa nel cervello quando ci accingiamo a coltivare la nostra spiritualità. Aumenta la “sostanza bianca” e questo correla con un minor rischio di depressione. Ora arrivano gli scienziati della Columbia e New York State Psychiatry Institute a confermarlo: si vede attraverso la risonanza magnetica.
Gli effetti sul cervello
Più spiritualità, più religiosità, portano il cervello a sviluppare più connessioni cerebrali: questa è la tesi. Anche nelle persone ad alto rischio di depressione, per fattori genetici (genitori depressi), si vede che la pratica spirituale rende più spessa la corteccia del cervello nelle aree parietali e occipitali.
“Come abbiamo precedentemente riportato – dicono gli autori – una corteccia più sottile in queste regioni è uno stabile biomarker di rischio di depressione. Ipotizziamo quindi che l’aumento dello spessore della materia bianca nelle persone che ritengono importanti le loro attività spirituali, sia un meccanismo compensatorio o protettivo”. Tutto questo è ancora oggetto d’indagine, servono altri approfondimenti.
Che tipo di spiritualità?
Il messaggio dello studio non è che una religiosità sia meglio dell’altra. Semplicemente si dice che chi ha interessi spirituali e li pratica costantemente risulta più protetto dalla depressione. Gli Autori dell’indagine sono neuroscienziati americani e cinesi, ma nel campione analizzato, quelli sottoposti a RM (DTI), ci sono molti italiani, per la precisione del sud del paese. Quindi cattolici. Poi ci sono protestanti e persone che dicono di seguire la propria spiritualità personale. Gli altri si dicevano atei o agnostici.
“Tutto è Uno” potrebbe essere la chiave
Queste esplorazioni scientifiche sul legame tra spiritualità e cervello vanno avanti da alcuni anni. Per esempio, un’altra indagine del 2013 aveva trovato che le persone con malattie mentali come la depressione rispondono meglio ai trattamenti se credono in “Dio” (McLean Hospital in Belmont, Mass.). Ma non è il “tipo” di Dio che fa la differenza, quanto la spiritualità in generale. Al punto che alcuni pensano che il concetto di spiritualità possa essere molto esteso, anche senza credere in entità superiori di carattere religioso. L’importante sarebbe la capacità di non limitare la nostra visione del mondo a un piccolo ego personale ma coltivare una visione più ampia, di interconnessione col mondo e le altre persone. Il “tutto è uno” ci riguarda strettamente.
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