Cenni sulla differenza tra vita terrena e vita tra morte e rinascita



di Rudolf Steiner
L’esistenza umana si svolge in una successione di vite terrene, e mentre attraversiamo una di queste vite possiamo, per lo meno col pensiero, volgerci indietro e vedere come l’attuale sia la ripetizione di un certo numero di altre che l’avevano preceduta.

La vita attuale fu preceduta da un’altra, questa da un’altra ancora, fino a quando arriviamo a tempi per i quali non si può più parlare di ripetizione delle vite terrene nel senso odierno, perché in quel periodo remoto, la vita tra nascita e morte e quella tra morte e rinascita, diventano a poco a poco talmente simili, che l’odierna grande differenza tra di loro non esiste più.

Oggi viviamo nel nostro corpo terreno tra nascita e morte in maniera che, nello stato di coscienza ordinaria, ci sentiamo molto separati dal mondo spirituale. Con lo stato di coscienza usuale, si parla del mondo spirituale come dell’aldilà, e c’è chi arriva anzi a porre in dubbio la sua esistenza, o anche a negarla del tutto.

Ciò dipende dal fatto che la vita terrena chiude l’uomo entro i limiti del mondo sensibile esterno e dell’intelletto, che abbraccia solo quanto è direttamente connesso con la vita terrestre stessa. Ne derivano tutte le dispute, le quali hanno in realtà sempre radice in una mancanza di conoscenza; a molti sarà capitato di assistere a discussioni sul monismo, sul dualismo, e così via. È naturalmente assurdo un dibattito su tali luoghi comuni.

Ascoltando simili dispute, si ha come l’impressione di trovarsi di fronte a qualche uomo primitivo che non avesse mai ancora sentito dire che, ad esempio, l’aria esiste. A chi sa che l’aria esiste e ne conosce le funzioni, non verrà mai in mente di parlarne come di qualcosa dell’aldilà e neppure dire: “io sono monista, per me aria, acqua e terra sono una cosa sola! Tu invece sei dualista, perché nell’aria vedi qualcosa di separato dall’acqua e dalla terra”.

Tali dispute non hanno dunque senso, come in genere non ha senso discutere intorno a concetti. Quindi non ci soffermeremo su tali problemi e ci limiteremo a richiamare l’attenzione su di essi. Infatti, come per chi non la conosce l’aria, non è qui ma appartiene all’aldilà, così il mondo spirituale, che tuttavia ci attornia come l’aria, è un aldilà per chi non lo conosce. Per chi lo conosce è invece un aldiqua.

Si tratta dunque semplicemente di rendersi conto che, nell’attuale periodo dell’evoluzione terrena, l’uomo dimora tra nascita e morte nel suo corpo fisico e in tutto il complesso della sua organizzazione, con una coscienza che in un certo senso lo separa da un mondo spirituale di cause, che tuttavia agiscono nella sua esistenza terrena, fisica. Fra la morte e un nuova nascita egli vive poi in un altro mondo, in un mondo che in confronto a quello fisico può essere chiamato spirituale; in esso egli non ha più un corpo fisico percepibile ai sensi, ma vive come essere spirituale.

Il mondo in cui si vive tra nascita e morte appare allora altrettanto estraneo, quanto alla coscienza ordinaria terrena appare estraneo il mondo spirituale. L’uomo disincarnato china lo sguardo verso il mondo fisico, come l’uomo fisicamente vivo lo solleva verso i mondi spirituali; solo i sentimenti sono per così dire opposti. Mentre tra nascita e morte, l’uomo guarda al mondo spirituale e vi trova un certo compenso per quanto nella vita gli è scarsamente concesso oppure non lo appaga; tra la morte e la rinascita, per l’estrema abbondanza degli eventi, sempre troppi in rapporto a quanto può sopportare, egli prova di continuo il desiderio di tornare alla vita terrena, a quel che per lui è allora l’aldilà e nella seconda metà della vita tra morte e rinascita, attende davvero con grande desiderio, di poter far ritorno alla vita terrena attraverso la nascita.

Mentre nell’esistenza terrena ha paura della morte, perché è incerto su quanto vi sarà dopo (nella coscienza ordinaria regna difatti grande incertezza al riguardo), fra la morte e una nuova nascita, domina una certezza stragrande sulla vita terrena,una certezza che intontisce, che annienta addirittura. Perciò l’uomo sperimenta allora condizioni di impotenza, affini a quella di svenimento, che determinano in lui la nostalgia del ritorno sulla Terra.

Questi sono soltanto alcuni accenni sulla grande differenza tra vita terrena e vita tra morte e rinascita. Se però risaliamo al passato, anche solo al periodo egizio, che va dal terzo al primo millennio avanti l’era cristiana, se risaliamo cioè agli uomini che noi stessi fummo in una precedente incarnazione, troviamo che allora la vita terrena, di fronte alla chiara coscienza odierna (oggi veramente la coscienza è chiara in modo eccezionale, tutti sono davvero molto intelligenti, e non lo dico con ironia), di fronte a tale chiara coscienza, nel periodo dell’antico Egitto, la vita durante l’esistenza terrena trascorreva in uno stato di coscienza più sognante, uno stato di coscienza che non si contrapponeva così nettamente alla realtà esterna, ma era colmo di immagini che rivelavano qualche parte della spiritualità che compenetrava il mondo. La spiritualità, cioè, penetrava ancora nell’esistenza terrena fisica.

A questo punto, si può obiettare: se l’uomo aveva una coscienza sognante, non del tutto chiara, come poté egli eseguire i poderosi lavori che vennero compiuti, ad esempio, nel periodo egizio e in quello caldaico? A questo proposito, basta ricordare come nei dementi, proprio in condizioni di pazzia, si verifica talvolta uno straordinario accrescimento delle loro forze fisiche, tanto da renderli capaci di sollevare pesi che in condizioni normali non avrebbero potuto sollevare.

In realtà, la forza fisica di quegli antichi uomini, che nell’aspetto erano forse più gracili degli attuali (ma non sempre chi è corpulento è forte e chi è sottile è debole), era maggiore. Essi non concentravano la loro attenzione sopra ogni atto fisico eseguito, ma parallelamente alle azioni fisiche vivevano esperienze interiori, nelle quali si manifestava ancora il mondo spirituale. Quando poi quegli uomini attraversavano la vita tra morte e rinascita, in quella vita “ascendevano” assai più elementi della vita terrena, se posso usare l’espressione “ascendere”.

Oggi è difficilissimo intendersi con chi si trova nella vita fra morte e rinascita, perché le lingue moderne hanno a poco a poco assunto una forma che i morti non intendono più. Dopo la morte, i sostantivi, ad esempio, vengono solo percepiti come spazi vuoti. I morti comprendono ancora solo i verbi, ciò che è mobile, attivo; e mentre sulla Terra i materialisti insistono sempre sull’opportunità di ben definire ogni cosa, di nettamente delimitare ogni concetto, il defunto non conosce definizioni, perché conosce solo il movimento, non quanto è definito, delimitato.

Il linguaggio, che in tempi antichi vigeva sulla Terra come uso e consuetudine di pensiero, poteva ancora ascendere nella vita tra morte e rinascita; così molto tempo dopo aver abbandonato il piano fisico, alla persona morta perveniva ancora un’eco delle sue esperienze e anche degli eventi che si erano svolti sulla Terra dopo la sua morte.

Se poi risaliamo a epoche ancora più remote, al tempo dopo la catastrofe atlantica, otto o novemila anni prima dell’era cristiana, le differenze tra la vita sulla Terra e la vita nel cosiddetto aldilà erano ancora minori, finché retrocedendo si arriva gradatamente a epoche in cui esse scompaiono del tutto. A quel punto non possiamo più parlare di ripetute vite terrene.

La ripetizione delle vite terrene ha dunque un limite nel passato, e ugualmente ne avrà uno guardando avanti nel futuro. Quel che comincia in modo del tutto cosciente con l’antroposofia, l’accoglimento cioè del mondo spirituale nell’ambito della coscienza ordinaria, porterà come conseguenza, che il mondo terreno penetrerà esso pure sempre più nella sfera in cui l’uomo vive tra morte e rinascita: la coscienza non sarà però sognante, ma diventerà, anzi, sempre più chiara.

La differenza tra la vita terrena e quella soprasensibile diminuirà quindi sempre più;la ripetizione delle vite terrene sta pertanto tra due limiti, oltre i quali l’esistenza umana si svolge in condizioni diverse; non ha allora più alcun senso parlare di ripetute vite terrene, perché appunto la differenza fra vita terrena e vita spirituale non è tanto grande quanto lo è ora.

Tratto dalla Conferenza tenuta a Dornach il 23 febbraio 1924, da Rudolf Steiner, contenuta nel volume primo de “Considerazioni esoteriche sui nessi karmici”, pp. 38-51, Editrice Antroposofica, Milano, 1985.

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